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Los geht's

I 60 anni della DSC

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Vorgeschichte

«La cooperazione allo sviluppo è un mare in tempesta attraversato da correnti fredde e calde. Non è certo facile, in queste acque, trovare la rotta migliore e mantenerla».

Pierre Aubert, ex consigliere federale e capo del DFAE, 1979

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1960er Jahre

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1970er Jahre

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1980er Jahre

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1990er Jahre

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2000er Jahre

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2010er Jahre

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Schweizer Spende

La fine della Seconda guerra mondiale segna anche l’inizio della cooperazione internazionale della Svizzera. Tra il 1944 e il 1948 la Confederazione Svizzera raccoglie fondi per le persone povere in Europa meridionale e occidentale nell’ambito di un’importante campagna nota come «Dono svizzero», volta ad arginare la fame, le malattie e il problema dei senzatetto. Oltre a distribuire aiuti, la Svizzera lavora a stretto contatto con organizzazioni impegnate a livello internazionale quali il CICR e le agenzie dell’ONU. Fino al 1948 vengono stanziati 203 milioni CHF a favore di persone in condizioni di povertà.

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1960 Dienst für technische Hilfe

Il Consiglio federale vuole tenere conto dell’importanza crescente dell’assistenza tecnica nelle relazioni internazionali. L’8 gennaio 1960, all’interno del Dipartimento federale politico (oggi DFAE) viene creato un ufficio federale chiamato Servizio di assistenza tecnica, che segna l’inizio del potenziamento degli sforzi di sviluppo della Svizzera.

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1970: Interkonfessionelle Konferenz Schweiz und Dritte Weltxdc

La «Conferenza interconfessionale Svizzera-Terzo Mondo», tenutasi nel novembre del 1970, getta le basi per un ampio dibattito politico e pubblico sul ruolo della Svizzera nel mondo. Obiettivo della conferenza è elaborare un quadro strategico per la cooperazione allo sviluppo della Svizzera. Le teorie sullo sviluppo proposte fino a quel momento e i loro effettivi benefici vengono messi in discussione.

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Per rafforzare le sue prospettive di successo, dal 1980 la Direzione della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario (DSA) sceglie la strada del decentramento. Il ruolo degli uffici della DSA sul campo viene rafforzato, con un conseguente accorciamento dei processi amministrativi. Agli uffici locali viene affidata maggiore responsabilità nella pianificazione e nell’attuazione di programmi e progetti, con un conseguente aumento dell’efficienza.

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La Svizzera è tra i primi Paesi a impegnarsi nell’Europa dell’Est dopo la caduta del Muro di Berlino. All’inizio gli aiuti provengono soprattutto da organizzazioni private, ma anche i Comuni e i Cantoni forniscono contributi. Le campagne di aiuto vanno dalla raccolta di vestiti ai gemellaggi tra città, fino alla costruzione di asili e scuole.

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A seguito degli eventi dell’11 settembre 2001, la DSC analizza l’impatto degli attacchi terroristici sulla cooperazione allo sviluppo della Svizzera, concludendo che la riduzione della povertà, il buongoverno e i partenariati sono elementi importanti per la prevenzione delle crisi e lo sviluppo sostenibile e, di conseguenza, rappresentano un presupposto fondamentale per ridurre la violenza e il terrorismo.

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Nel 2011 milioni di persone scendono in piazza nei Paesi arabi per chiedere più democrazia, opportunità economiche e giustizia. Ma il nuovo inizio politico, economico e sociale non è semplice per Paesi come l’Egitto, la Tunisia, la Libia e altri Stati fragili o colpiti da conflitti.

Nel marzo del 2011 il Consiglio federale decide di estendere a medio termine il suo impegno nel Nord Africa. Il sostegno comprende un’intensificazione delle attività nei seguenti ambiti: transizione democratica, sviluppo economico, creazione di posti di lavoro, migrazione e protezione delle persone bisognose.

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Technische Hilfe der Schweiz

Nel 1948 la Svizzera fornisce per la prima volta aiuti bilaterali diretti a favore di determinati Paesi. Ad esempio, alcuni specialisti del turismo si recano in Libano ed esperti del settore idrico vengono inviati a Ceylon (oggi Sri Lanka) per fornire supporto e consulenza ai governi e a istituti di ricerca. Si tratta di esperti provenienti per lo più dall’ambiente del Politecnico di Zurigo. L’Amministrazione federale, infatti, ha ancora poche esperienze e conoscenze nel settore della cooperazione internazionale della Svizzera.

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1960: Entkolonialisierung

Dalla conclusione della Seconda guerra mondiale, le popolazioni dell’Africa e dell’Asia lottano per porre fine al dominio coloniale degli Stati occidentali. Solo nel 1960, 17 Stati raggiungono l’indipendenza ed entrano sulla scena internazionale come attori politici autonomi. Ciononostante, negli anni successivi la speranza delle persone di ottenere migliori standard di vita viene spesso delusa, il che causa, nel tempo, lo scoppio di conflitti regionali. Inoltre, questi nuovi Stati diventano oggetto di contesa tra le potenze occidentali e orientali, che desiderano aumentare il proprio potere e la propria influenza.

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Come altri progetti di prima generazione, il progetto del latte a Kars, in Turchia, diventa indipendente nel 1970. Lo stesso avviene in Perù, dove nel 1971 due progetti di allevamento di bestiame, con annesso caseificio, vengono affidati a partner locali. Nel 1975 l’ultimo esperto svizzero del progetto di tessitura di tappeti in Nepal fa ritorno a casa. Il progetto, avviato nel 1963, si sviluppa fino a diventare un settore produttivo dello Stato himalayano, impiegando circa 8600 persone.

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Negli anni 1970 la protezione dell’ambiente era diventata una questione centrale della politica interna della Svizzera. Parole come energia nucleare, scomparsa delle foreste e distruzione delle foreste pluviali e di altri habitat naturali erano all’ordine del giorno. In risposta a ciò, la Direzione della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario (DSA) elabora un nuovo approccio. Tutti i nuovi progetti vengono strutturati tenendo conto della protezione dell’ambiente in tutte le sue dimensioni fin dalla fase di pianificazione. Successivamente si aggiungono anche i temi dell’uguaglianza di genere e del buongoverno.

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La Svizzera è impegnata in Bosnia e Erzegovina fin dall’inizio delle guerre jugoslave nel 1991. Nel Paese, l’Aiuto umanitario della Confederazione fornisce sostegno d’emergenza tradizionale. Circa 30’000 persone trovano asilo temporaneo in Svizzera. Dopo la cessazione delle ostilità nel 1995, la Svizzera concentra le sue attività sulla cooperazione di transizione, la creazione di nuove strutture statali democratiche e l’economia sociale di mercato.

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Il 26 dicembre 2004 un violento tsunami nel Golfo del Bengala provoca oltre 225’000 morti e lascia milioni di persone senzatetto. L’Aiuto umanitario della Svizzera fornisce aiuti di emergenza immediati e contribuisce alle attività di ricostruzione.

Le infrastrutture ripristinate dall’Aiuto umanitario nell’Asia meridionale – case, scuole, impianti di potabilizzazione dell’acqua – permettono alle popolazioni colpite di iniziare una nuova vita dopo la catastrofe provocata dallo tsunami. Grazie ai contributi della DSC e dei suoi partner, negli anni successivi i bisogni primari di decine di migliaia di abitanti dello Sri Lanka, dell’Indonesia e della Thailandia sono ampiamente soddisfatti.

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Nella sessione primaverile del 2011, il Parlamento decide di aumentare i mezzi destinati al finanziamento dell’aiuto pubblico allo sviluppo allo 0,5% dell’RNL entro il 2015. In risposta alle sfide globali, la DSC e la SECO intensificano notevolmente il loro impegno nei settori del clima e dell’acqua.

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Strategisches Fundament

Nel 1950 l’assistenza tecnica della Svizzera viene integrata per la prima volta all’interno di due dipartimenti federali: l’incarico viene dato a sei persone, delle quali cinque nell’Ufficio federale dell’industria, delle arti e mestieri e del lavoro (oggi SECO), responsabili dell’aiuto bilaterale, e una nel Dipartimento federale politico (oggi DFAE), responsabile dell’aiuto multilaterale. Da un lato si tratta di un gesto umanitario, dall’altro la Svizzera vi vede l’opportunità di contribuire al mantenimento della pace nel mondo. Inoltre, l’assistenza tecnica offre all’economia svizzera la possibilità di accedere a nuovi mercati.

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1961: Die moderne Entwicklungszusammenarbeit

Il 5 aprile 1961 la ridenominazione, da parte del Consiglio federale, del «Servizio di assistenza tecnica» in «Servizio della cooperazione tecnica» segna la nascita della moderna cooperazione svizzera allo sviluppo. Negli anni successivi l’attenzione si concentra sullo sviluppo e sull’espansione dell’aiuto bilaterale. A partire dal 1962, il 60% del bilancio è destinato alla cooperazione bilaterale allo sviluppo, invece del precedente 20%.

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Con il concludersi dei progetti di prima generazione, il Servizio della cooperazione tecnica avvia valutazioni più dettagliate dei progetti, giungendo alla conclusione che questi hanno spesso una durata troppo breve e che le necessità e la formazione della popolazione locale devono essere integrate meglio nella pianificazione di ogni singolo progetto. Anche gli obiettivi dei progetti dovrebbero essere definiti in modo più chiaro, mentre andrebbero fatti ulteriori accertamenti prima del loro avvio. Inoltre, il Servizio riconosce la necessità di utilizzare simultaneamente diversi strumenti di cooperazione internazionale nella realizzazione dei progetti. Viene definito così un nuovo standard.

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L’Aiuto umanitario della Svizzera è stato quasi sempre risparmiato dalle critiche. Tuttavia, durante le operazioni di soccorso si è assistito più volte a diverse carenze. Ad esempio, è accaduto che in seguito a un terremoto il Corpo svizzero di aiuto in caso di catastrofe sia stato in grado di localizzare feriti e morti sotto le macerie con i mezzi a sua disposizione, ma non di salvarli o recuperarli in quanto il materiale necessario non è arrivato sul posto in tempo utile. Nel 1980, insieme all’Esercito svizzero, alla Guardia aerea svizzera di soccorso e alla Società svizzera per cani da catastrofe, viene fondata la Catena svizzera di salvataggio, che riunisce tutti gli elementi necessari a garantire il successo di tali operazioni: localizzazione, salvataggio, medicina d’urgenza e logistica. Nel dicembre del 1982 la Catena svizzera di salvataggio interviene dopo il terremoto in Yemen.

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Nel 1992 il Parlamento approva un credito di 800 milioni CHF per la cooperazione con i Paesi dell’Europa dell’Est. In questo modo, la Svizzera può estendere le proprie attività di cooperazione internazionale ai Paesi baltici e dell’Europa sudorientale. L’anno successivo, a seguito della dissoluzione dell’Unione Sovietica e dello scoppio delle guerre nei Balcani, il credito viene aumentato di 600 milioni CHF.

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Il conflitto siriano, in corso dal 2011, è all’origine di una delle crisi umanitarie più gravi di sempre. La popolazione civile e milioni di sfollati subiscono ancora oggi le drammatiche conseguenze del conflitto armato nonché gravi violazioni del diritto internazionale umanitario e dei diritti umani.

La Svizzera risponde in modo rapido ai bisogni umanitari della popolazione in Siria e delle persone in fuga, impegnandosi nei seguenti ambiti: protezione e migrazione, istruzione e reddito, prevenzione dei conflitti e promozione della pace, rete idrico-fognaria. La Svizzera fornisce anche aiuti di emergenza in gravi situazioni umanitarie nella regione, contribuendo così ad alleviare sul posto gli effetti del conflitto siriano.

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1950-1960: Aufnahme von Studierenden

L’aiuto bilaterale prevede anche l’accoglienza di studenti universitari provenienti da Paesi in via di sviluppo. Tra il 1950 e il 1960 oltre 900 studenti da tutte le regioni del mondo arrivano in Svizzera per perfezionare la loro formazione scientifica o professionale.

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1964: Kriterien für Schwerpunktländer

Il 29 maggio 1964 il Consiglio federale definisce i criteri di selezione dei Paesi prioritari. Per migliorare l’efficacia dell’aiuto svizzero e rendere visibile l’impegno della Svizzera, i Paesi devono essere di piccole dimensioni. Inoltre, devono già esistere relazioni tra il Paese in questione e la Svizzera, in modo da agevolare la cooperazione allo sviluppo.

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Negli anni 1970, in risposta alle tendenze internazionali nell’ambito della cooperazione allo sviluppo, la Svizzera espande costantemente il Servizio della cooperazione tecnica. Nel 1972 il Parlamento approva un credito triennale di 275 milioni CHF, che già nel 1978 passa a 735 milioni. Queste risorse consentono al Servizio della cooperazione tecnica di organizzare meglio le sue attività di progetto insieme ad altri partner internazionali e di rafforzare il coordinamento sul campo. Dopo il primo progetto pilota di successo in India, cresce anche il numero degli uffici di coordinamento, che passano da 12 nel 1978 a 19 nel 1986.

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Per strutturare meglio il lavoro della Direzione della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario (DSA) e ancorarlo a principi chiari, la DSA elabora un nuovo strumento: i programmi nazionali. Dopo l’analisi dei problemi e il bilancio della situazione, i programmi consentono alla cooperazione allo sviluppo in un determinato Paese di avere una visione d’insieme e di coordinare meglio le varie forme di assistenza, dalla cooperazione tecnica all’aiuto finanziario, fino all’aiuto umanitario. Nel 1983 viene lanciato il primo programma nazionale per il Bangladesh. Ancora oggi i programmi nazionali rappresentano uno strumento importante per la pianificazione e l’attuazione delle strategie di sviluppo in diversi Paesi e regioni del mondo.

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Consapevole che la transizione democratica degli Stati dell’ex Unione Sovietica richiede molto tempo, il Consiglio federale fissa una serie di obiettivi per la cooperazione con l’Europa dell’Est:
  • promuovere e rafforzare lo Stato di diritto e i diritti umani
  • costruire e consolidare le istituzioni democratiche
  • promuovere uno sviluppo economico e sostenibile

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L’espansione delle piccole e medie imprese nei Paesi in via di sviluppo acquisisce sempre maggiore importanza per la cooperazione allo sviluppo della Svizzera. La DSC sostiene ad esempio lo Small Enterprise Assistance Fund (SEAF), che fornisce capitali di crescita alle PMI dei Paesi emergenti e in transizione. Uno studio condotto dal SEAF nel 2007 ha valutato positivamente questo metodo:

ogni dollaro investito nelle PMI genera in media altri 12 dollari nell’economia locale. La creazione annuale di posti di lavoro supplementari nelle PMI in cui vengono fatti investimenti è pari al 25%, di cui il 72% è occupato da lavoratori scarsamente qualificati. L’aumento annuale del salario reale durante il periodo dell’investimento è del 26%.

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Con il Messaggio concernente la cooperazione internazionale 2013-2016, la Svizzera pone un accento strategico sull’impegno nei Paesi fragili e nelle zone di conflitto, oltre ad affrontare rischi globali (come la scarsità idrica) e a portare avanti la cooperazione con il settore privato.

L’instabilità politica, l’incertezza del diritto e il malgoverno caratterizzano molti dei Paesi fragili partner della Svizzera. Quasi il 50% della popolazione mondiale sotto la soglia di povertà vive in un contesto fragile. Per questo motivo la DSC rafforza il suo impegno in regioni instabili come l’Hindu Kush, il Corno d’Africa e l’Asia centrale.

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Internationale Beiträge

1950-1960: Internationale Beiträge
Der Grossteil der Schweizer Beiträge Zwischen 1-4 Millionen CHF pro Jahr, selbst für diese Zeit ein bescheidener Betrag, wendete der Bund für die multilaterale Zusammenarbeit auf. Die Schweiz konnte dadurch von den Erfahrungen der UNO-Organisationen profitieren und zugleich ihren eigenen Verwaltungsaufwand klein halten.
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Technische Hilfe

Nel periodo successivo alla Seconda guerra mondiale, gli Stati intensificano gli sforzi volti a rafforzare lo sviluppo economico e sociale e a colmare il divario tra Paesi ricchi e poveri. Tale impegno, conosciuto allora con il nome di «assistenza tecnica», si prefigge di promuovere la politica di pace. L’intento è però anche, come nel caso degli Stati Uniti, di fermare l’ascesa del comunismo nei Paesi in via di sviluppo.

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1965-1969: Von der Büffelzucht zur Handelsgenossenschaft

Perù, Nepal e Ruanda, insieme a India, Turchia e Tunisia, sono tra i primi Paesi in cui si attiva la cooperazione tecnica. Lo spettro tematico della cooperazione svizzera allo sviluppo si amplia. In Nepal, oltre alla costruzione di ponti sospesi, la Svizzera promuove un programma di allevamento dei bufali. In Ruanda la cooperazione tecnica si concentra sulla cooperativa commerciale «Travail, Fidélité, Progrès», che migliora le condizioni di vita della popolazione locale tramite l’acquisto di caffè a prezzi equi. Negli anni 1960 il Perù diventa un importante Paese partner della Svizzera: qui la cooperazione allo sviluppo si focalizza sull’allevamento del bestiame e sulla silvicoltura. Dall’Asia all’America del Sud, passando per il Medio Oriente, l’attenzione è rivolta tuttavia all’allevamento di bestiame da latte, con l’apertura di caseifici in ogni parte del mondo.

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Il Consiglio federale inizia a porre le basi per l’aiuto svizzero in caso di catastrofe già nel 1971. Nel 1973, a seguito di un appello dell’Amministrazione federale, 1000 volontari sono formati per prestare man forte a livello internazionale in caso di gravi calamità naturali. Il primo intervento del Corpo svizzero di aiuto in caso di catastrofe avviene nel settembre del 1974, quando 99 volontari sono inviati nel bacino del Lago Ciad duramente colpito dalla siccità e dalla carestia. Negli anni 1970 l’aiuto umanitario diventa un’importante istituzione che gode di un forte sostegno tra la popolazione.

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Fino alla metà degli anni 1980 la scelta dei Paesi prioritari per la cooperazione allo sviluppo della Svizzera era un processo articolato su più livelli e spesso casuale. Su richiesta del Parlamento, la scelta doveva garantire una migliore prevedibilità e trasparenza. Di conseguenza, il Consiglio federale ha definito quattro criteri:
  1. la priorità è data ai Paesi poveri
  2. la politica dello Stato rispetta i diritti umani e lo sviluppo economico e sociale
  3. l’aiuto della Svizzera deve basarsi sull’auto-aiuto del Paese beneficiario
  4. deve essere possibile avviare una cooperazione utile con i partner del Paese in via di sviluppo

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L’impatto della crisi finanziaria del 2008 sui Paesi in via di sviluppo è enorme. La domanda di beni di esportazione e di materie prime crolla, analogamente alle rimesse delle lavoratrici e dei lavoratori migranti alle loro famiglie. Questo comporta una drastica riduzione di importanti fonti di reddito per le persone nei Paesi in via di sviluppo. Per attutire gli effetti della crisi, la Svizzera aumenta gli sforzi per migliorare le condizioni quadro economiche, rafforzare i settori finanziari e facilitare l’accesso al finanziamento delle PMI nei Paesi in via di sviluppo.

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Il conflitto armato nell’Ucraina orientale, in corso dal 2014, sta provocando molte vittime e distruggendo le infrastrutture. I beni essenziali, come l’acqua, scarseggiano sempre di più. A causa del conflitto, non è stato più possibile consegnare i prodotti chimici per la potabilizzazione dell’acqua, con un conseguente aumento significativo dei casi di epatite A nella regione.

Su richiesta espressa, nel 2015 l’Aiuto umanitario della Svizzera organizza diversi convogli umanitari che consegnano agli ospedali della regione i prodotti chimici necessari, oltre a materiale medico e farmaci. L’aiuto svizzero raggiunge 3 milioni di persone su entrambi i lati della linea di contatto.

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Frieden dank Vernetzung

Le grandi differenze economiche e sociali tra i paesi sono fonte di un notevole potenziale di conflitto e devono quindi essere ridotte.

Il desiderio di pace era grande dopo i disordini della guerra. L'idea che la pace può essere mantenuta in modo permanente solo attraverso la rete e la cooperazione internazionale era centrale. L'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU), fondata nel 1945, ha soddisfatto questa convinzione.

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1968: Erstes Kooperationsbüro in Indien

Negli anni 1960 il Servizio della cooperazione tecnica professionalizza la cooperazione allo sviluppo. Un elemento essenziale di questo processo è il rafforzamento della presenza della Svizzera sul posto mediante la creazione di uffici locali, il primo dei quali viene aperto in India. Il carico di lavoro dell’Ambasciata di Svizzera in India nel settore della cooperazione allo sviluppo sta raggiungendo i limiti delle sue capacità. Per questo motivo, nel 1968 viene creato il primo posto di coordinatore della cooperazione tecnica, responsabile della pianificazione e della realizzazione dei progetti in loco.

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Già agli inizi degli anni 1970 la cooperazione allo sviluppo a favore delle popolazioni più povere diventa il fulcro delle attività del Servizio della cooperazione tecnica. Vengono elaborate nuove forme di progetto: nascono così progetti specifici per donne, profughi e piccoli agricoltori, ad esempio nella città di Ahmednagar, in India, dove il Servizio sostiene un progetto che fornisce prestiti agevolati a favore delle piccole agricoltrici, consentendo loro di accedere a fonti di denaro e di raggiungere un discreto sostentamento.

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La Svizzera reagisce prontamente agli sconvolgimenti politici seguiti alla caduta del Muro di Berlino. Nel novembre del 1989 il Consiglio federale dichiara in un messaggio: «La Svizzera ha un interesse diretto a contribuire affinché il processo di transizione nell’Europa dell’Est si svolga in modo controllato senza rischi per la stabilità internazionale». Il messaggio getta le basi per la cooperazione internazionale della Svizzera nell’Europa orientale. Inizialmente la Confederazione si concentra sulla sicurezza alimentare, con misure immediate in Polonia, Ungheria e Cecoslovacchia.

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Sulla scorta del suo impegno nell’Europa dell’Est, già nel 1995 la Direzione della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario (DSA) cambia il proprio nome in «Direzione della cooperazione allo sviluppo, dell’aiuto umanitario e della cooperazione tecnica con l’Europa centrale e orientale» (DSACE). Nel 1996 il nome viene semplificato in «Direzione dello sviluppo e della cooperazione» (DSC), tuttora in uso.

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Nel dicembre del 2008 il Parlamento adotta il «Messaggio sulla continuazione della cooperazione tecnica e dell’aiuto finanziario a favore dei Paesi in sviluppo» e il «Messaggio concernente il finanziamento dei provvedimenti di politica economica e commerciale nell’ambito della cooperazione allo sviluppo».

Per la prima volta, la Confederazione dispone di una strategia interdipartimentale di cooperazione allo sviluppo. La concentrazione delle attività sul piano geografico e tematico ha lo scopo di massimizzare l’impatto delle risorse impiegate e di evitare doppioni.

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Con il Messaggio concernente la cooperazione internazionale 2017-2020 la Svizzera stabilisce nuove priorità.

La cooperazione internazionale si caratterizza maggiormente per il suo impegno nei contesti fragili. Per rispondere alle difficili sfide in questo campo, la Svizzera lega sempre più le sue attività di cooperazione internazionale alla promozione della pace e coinvolge la Divisione Sicurezza umana del DFAE (ora Divisione Pace e diritti umani, DPDU) nell’elaborazione del Messaggio concernente la cooperazione internazionale.

Inoltre, la DSC si prefissa l’obiettivo di raddoppiare il numero dei partenariati esistenti con attori del settore privato. Per raggiungere gli ambiziosi obiettivi dell’Agenda 2030, infatti, la sola cooperazione allo sviluppo con i singoli Stati non basta.

Il settore privato svolge un ruolo chiave nel rilancio dell’economia. Nei Paesi più poveri del mondo 9 posti di lavoro su 10 vengono creati dall’economia privata. Anche la forza innovativa, la competenza e le risorse del settore privato sono importanti. Per questo motivo la DSC rafforza i partenariati con il settore privato collaborando, ad esempio, con imprese sociali, investitori d’impatto e fondazioni donatrici.

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Interessenspolitik der Supermächte

Gli sforzi di sviluppo degli Stati Uniti e dell'Unione Sovietica sono caratterizzati da politiche auto-interessate e legate a considerazioni geostrategiche. L'anticomunismo e l'anticapitalismo sono importanti motori dell'impegno bilaterale, ed entrambe le grandi potenze concentrano il loro sostegno in aree strategicamente importanti e ricche di risorse.
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1968: Hilfe zur Selbsthilfe

Viene creato in questo decennio lo slogan «sostegno all’auto-aiuto», che ancora oggi è un elemento caratterizzante della cooperazione internazionale della Svizzera. Il Servizio della cooperazione tecnica sintetizza questa idea in un volantino risalente al 1968: «Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno. Insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita».

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Uno degli effetti della legge del 1976 sulla cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario internazionali è l’accorpamento della cooperazione tecnica e dell’aiuto umanitario. Così, nell’estate del 1977, dal Servizio della cooperazione tecnica nasce la Direzione della cooperazione allo sviluppo e dell’aiuto umanitario (DSA).

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Negli anni 1980 la situazione nei Paesi poveri peggiora. Dopo la crisi economica e lo shock petrolifero degli anni 1970, molti Paesi in via di sviluppo si trovano costretti a chiedere prestiti sulla piazza finanziaria internazionale. Quando, negli anni 1980, negli Stati Uniti i tassi d’interesse sul dollaro aumentano al 20%, l’indebitamento diventa quasi insostenibile. Le conseguenze sono drammatiche: le risorse finanziarie impegnate per ripagare il debito sono spesso maggiori dell’afflusso di fondi per lo sviluppo.

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La fine della Guerra fredda non apporta quasi alcun beneficio ai Paesi in via di sviluppo del Sud del mondo. La speranza che le superpotenze impieghino parte del denaro precedentemente investito nell’armamento nucleare a favore della cooperazione allo sviluppo rimane lettera morta. Sono soprattutto gli Stati Uniti a tagliare gli aiuti in Africa, America Latina e Asia, dove prima erano stati presenti per logiche di potere.

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«Noi non risparmieremo i nostri sforzi per liberare i nostri simili – uomini, donne e bambini – dalla abbietta e disumanizzante condizione della povertà estrema». Con queste parole, nel settembre del 2000, in occasione della 55a Assemblea generale delle Nazioni Unite, i rappresentanti degli Stati membri dell’ONU si impegnano a concordare un catalogo di misure con i cosiddetti Obiettivi di Sviluppo del Millennio, al fine di dimezzare la povertà nel mondo entro il 2015:
  1. eliminare la povertà estrema e la fame nel mondo
  2. assicurare l’istruzione elementare universale
  3. promuovere l’uguaglianza di genere e l’empowerment delle donne
  4. diminuire la mortalità infantile
  5. migliorare la salute materna
  6. combattere l’HIV/AIDS, la malaria e altre malattie
  7. assicurare la sostenibilità ambientale
  8. sviluppare un partenariato globale per lo sviluppo

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La crisi causata dalla pandemia di COVID-19 ha colpito molto duramente i Paesi in via di sviluppo. I sistemi sanitari sono spesso deboli, le persone non hanno un reddito regolare e i sistemi sociali non sono abbastanza stabili da garantire il sostentamento delle persone.

La Svizzera dà una risposta rapida e flessibile alla crisi. Per combattere la diffusione del nuovo coronavirus nei Paesi in via di sviluppo, adatta i suoi progetti e programmi in corso e prende misure efficaci per mitigare le conseguenze sanitarie, economiche, politiche e sociali della COVID-19. Inoltre, fornisce a diversi Paesi dispositivi medici di protezione, test e respiratori, oltre a sostenere la produzione locale di disinfettanti.

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Zusammenarbeit mit privaten Hilfsorganisationen

Alla fine degli anni 1950 si delinea la volontà della Confederazione di espandere l’assistenza tecnica bilaterale. La Svizzera collabora adesso anche con organizzazioni private di sviluppo. La prima organizzazione umanitaria a ricevere il sostegno finanziario della Confederazione è l’Aiuto svizzero alle regioni extraeuropee (ASRE, oggi Helvetas).

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Negli anni 1970 le tematiche ambientali rivestono sempre maggiore importanza nella cooperazione allo sviluppo in tutto il mondo. Il fenomeno, però, non si limita solo a questo settore. In questi anni, infatti, la protezione dell’ambiente diventa una questione centrale della politica interna della Svizzera. Parole come energia nucleare, scomparsa delle foreste e distruzione delle foreste pluviali e di altri habitat naturali sono all’ordine del giorno. Tuttavia, il dibattito pubblico su questi temi non riguarda solo la Svizzera, ma si trasforma in un fenomeno mondiale, dando l’impulso decisivo per la fondazione del Programma delle Nazioni Unite per l’ambiente (PNUA) nel 1972.

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Il superamento della crisi del debito, derivante dalla crisi economica mondiale e dallo shock petrolifero del 1973, è stato un elemento centrale della cooperazione internazionale allo sviluppo negli anni 1980. Caratterizzano questo decennio le idee di stampo neoliberista per le strategie di sviluppo, i cosiddetti programmi di aggiustamento strutturale. La premessa è che i Paesi in via di sviluppo, per poter continuare a ricevere sostegni, avviino ampie riforme economiche, con l’obiettivo di raggiungere una maggiore crescita. Tale approccio si rivela inefficace ed è oggetto di critiche (soprattutto da parte dell’ONU), in quanto i programmi di aggiustamento strutturale non tengono conto degli aspetti sociali, ambientali o culturali.

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Dal 1983 il numero di conflitti armati e di catastrofi naturali aumenta in modo esponenziale in tutto il mondo. Nella prima metà degli anni 1990 il Consiglio di sicurezza dell’ONU decide di aumentare le truppe per le sue missioni di pace rispetto ai 45 anni precedenti. Questo genera un cambiamento anche per l’Aiuto umanitario della Svizzera, ormai sempre più presente nelle zone di conflitto e di guerra per proteggere le persone in fuga.

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La «Dichiarazione di Parigi sull’efficacia degli aiuti» formula cinque principi fondamentali, 12 indicatori e 21 obiettivi. I Paesi beneficiari definiscono le proprie strategie di riduzione della povertà e assumono a loro volta la gestione degli aiuti esterni (principio dell’autoresponsabilità). I Paesi donatori allineano le proprie attività alle strategie dei Paesi partner e si avvalgono dei sistemi locali per la gestione delle finanze pubbliche e degli appalti (allineamento ai partner). Coordinano i loro interventi e adottano regole condivise (armonizzazione). Donatori e beneficiari sono orientati al raggiungimento dei risultati e misurano l’efficacia degli aiuti in termini di sviluppo (gestione basata sui risultati). Condividono la responsabilità della realizzazione degli obiettivi prefissati e ne rispondono (reciprocità).

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Nel 2015 la comunità internazionale stila un bilancio degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio. In molti settori sono stati fatti progressi sostanziali: per esempio, secondo le cifre dell’ONU, il numero di bambini non scolarizzati è diminuito, passando da 100 milioni nel 2000 a 57 milioni nel 2015. Inoltre, nei Paesi in via di sviluppo la quota di persone estremamente povere, che vivono cioè con meno di 1,25 dollari al giorno, è scesa dal 47% nel 1990 al 14% nel 2015. Ciononostante, la povertà resta un problema: ancora oggi, nel mondo, circa 2 miliardi di persone vivono con meno di 2 dollari al giorno.
 
La cooperazione internazionale deve quindi affrontare ancora molte sfide. Nel settembre del 2015 gli Stati membri dell’ONU adottano l’Agenda 2030. Con i suoi 17 Obiettivi di sviluppo sostenibile (OSS), l’Agenda è la pietra miliare per lo sviluppo sostenibile globale. La Svizzera ha avuto un ruolo chiave nel processo di redazione e negoziazione. L’Agenda 2030 tiene conto di tutte e tre le dimensioni della sostenibilità – economica, sociale e ambientale – e ha validità universale. Ciò significa che tutti i Paesi e i loro partner statali, privati e della società civile contribuiscono al raggiungimento degli obiettivi.

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Expertenmissionen

Tra il 1957 e il 1960 la Confederazione invia 29 esperte ed esperti a livello bilaterale nei seguenti Paesi:
  • Turchia
  • India
  • Iran
  • Iraq
  • Filippine
  • Etiopia
  • Nepal
  • Tunisia
Le esperte e gli esperti sono incaricati di fornire consulenza nei settori dell’agricoltura, dell’acqua, della promozione delle esportazioni e del turismo.

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Negli anni 1970 anche le agenzie di sviluppo delle Nazioni Unite si concentrano sui bisogni delle persone più povere. Nella Dichiarazione di Cocoyoc del 1974, un gruppo di esperti dell’ONU conclude che è necessario ridefinire l’obiettivo e lo scopo dello sviluppo. La cooperazione allo sviluppo deve essere orientata ai bisogni primari delle persone: cibo, alloggio, sanità e istruzione. Tutto il resto non fa che aumentare le disparità tra la minoranza più ricca e i gruppi di popolazione più poveri nei Paesi in via di sviluppo.

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Già nel 1983, di fronte alla distruzione dell’ambiente e alla consapevolezza che le risorse naturali non sono illimitate, l’ONU fa redigere un rapporto in cui per la prima volta viene illustrato il concetto di sostenibilità. «Lo sviluppo sostenibile è uno sviluppo che soddisfi i bisogni del presente senza compromettere la possibilità delle generazioni future di soddisfare i propri». Il cosiddetto «Rapporto Brundtland» chiede alla comunità internazionale di trovare un equilibrio tra sviluppo economico, sviluppo sociale e protezione dell’ambiente.

Questa idea caratterizzerà la cooperazione allo sviluppo negli anni a venire come nessun’altra.

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Fino agli anni 1990 lo sviluppo era per lo più inteso in senso economico e misurato con indicatori economici. Il termine «sviluppo umano», introdotto nel 1994 dal Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo (PNUS), sottintende invece un concetto più ampio. Lo sviluppo umano definisce lo sviluppo come il grado di libertà che una persona possiede per esplicare il suo potenziale e le sue capacità. Nei Paesi in via di sviluppo, tuttavia, tali possibilità sono fortemente limitate, ad esempio a causa della mancanza di opportunità di reddito e dell’assenza di diritti politici o a causa delle violenze. Secondo il concetto di sviluppo umano, per ottenere un’ampia riduzione della povertà deve anche essere possibile impiegare le persone più povere in occupazioni produttive, adeguatamente remunerate e socialmente accettabili.
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Molte persone indigenti non hanno accesso ai servizi finanziari che potrebbero permettere loro di uscire dalla spirale della povertà. Un piccolo prestito (il cosiddetto microcredito) può salvarle da questo circolo vizioso. Ad esempio, un piccolo agricoltore può utilizzare il denaro per comprare sementi, aumentare la sua produzione in modo sostenibile, restituire il prestito e ottenere maggiore prosperità. Per far conoscere al mondo le opportunità del microcredito, l’ONU dichiara il 2005 «Anno del microcredito». «L’accesso sostenibile al microcredito contribuisce a ridurre la povertà creando opportunità di guadagno e posti di lavoro, permettendo ai bambini di frequentare la scuola, aiutando le famiglie a ricevere assistenza medica e dando alle persone la possibilità di prendere le decisioni migliori per loro»: è con queste parole che l’allora segretario generale delle Nazioni Unite Kofi Annan spiega l’iniziativa.

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La digitalizzazione e le nuove tecnologie offrono enormi opportunità anche nel campo degli aiuti umanitari e dello sviluppo sostenibile; tuttavia, comportano anche una serie di rischi, per esempio nel trattamento di grandi volumi di dati o in relazione alla diffusione di fake news e al monitoraggio delle informazioni. Al 50° Forum economico mondiale (WEF) di Davos, il Dipartimento federale degli affari esteri (DFAE) presenta una serie di progetti innovativi della DSC. Alla base di Tech4Good c’è l’idea di una stretta cooperazione tra la ricerca scientifica, il settore privato e gli attori statali dello sviluppo (compresa la DSC) al fine di sfruttare appieno il potenziale delle nuove tecnologie nella lotta contro la povertà.

Le tecnologie co-sviluppate in Svizzera migliorano le condizioni di vita di milioni di persone, per esempio nel settore della tecnica agraria, della previdenza sanitaria, del rafforzamento della resilienza in caso di catastrofi e dell’accesso alle risorse. Le ricerche innovative dei Politecnici federali di Zurigo e Losanna, così come le startup e le aziende svizzere attive a livello internazionale, forniscono un importante apporto in tal senso. L’impegno di Tech4Good dà un notevole contributo al raggiungimento degli Obiettivi di sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030.

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1950-1960: Internationale Beiträge

La Confederazione destina la maggior parte dei contributi della Svizzera tra 1 e 4 milioni CHF all’anno (un importo modesto anche per quell’epoca) alla cooperazione multilaterale. Questo permette alla Svizzera di beneficiare dell’esperienza delle agenzie dell’ONU contenendo i propri oneri amministrativi.

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All’inizio degli anni 1970 la cooperazione allo sviluppo della Svizzera è oggetto di aspre critiche. È sempre più presente il desiderio di definire una base legale e un orientamento chiaro nel campo della cooperazione allo sviluppo. La legge del 1976 sulla cooperazione allo sviluppo e l’aiuto umanitario internazionali disciplina l’orientamento a livello bilaterale e multilaterale e stabilisce le seguenti priorità:
  • focus sui Paesi in via di sviluppo, le regioni e le persone più povere
  • sviluppo nelle aree rurali
  • miglioramento della sicurezza alimentare attraverso la produzione agricola
  • promozione dell’artigianato e della piccola industria locale
  • creazione di posti di lavoro nei Paesi in via di sviluppo
  • conseguimento e mantenimento dell’equilibrio ecologico e demografico
La legge definisce inoltre i settori d’intervento dell’Aiuto umanitario, il cui scopo è di salvare vite e alleviare le sofferenze attraverso misure preventive e di emergenza in caso di catastrofi naturali e conflitti armati.

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Il genocidio del 1994 in Ruanda, uno dei Paesi prioritari della Svizzera, è uno shock e un segnale di allarme per la cooperazione allo sviluppo. Fino ad allora la cooperazione allo sviluppo era spesso stata vista come un compito tecnico, dove l’assistenza fornita da ingegneri o medici era indipendente da questioni politiche. Da quel momento l’analisi del contesto politico diventa un elemento centrale nella pianificazione dei programmi.

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In vista del raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo del Millennio (OSM), nel settembre del 2010 numerosi rappresentanti di Governo si riuniscono a New York per fare un bilancio provvisorio:

sebbene i progressi fatti, per raggiungere gli OSM sono necessari ulteriori sforzi. Anche la Svizzera, che si è impegnata a conseguire questi obiettivi, redige un rapporto nel quale evidenzia tra le altre cose i punti deboli degli OSM. Uno di questi è l’eccessiva concentrazione sui sintomi della povertà, che porta a trascurare le sue stesse cause, tra le quali figura la mancanza di opportunità di sviluppo economico.

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Die «Dritte Welt»

Sta diventando evidente che il colonialismo sta finendo, dando a molti paesi nuova fiducia in se stessi. Il termine "Terzo Mondo" è associato alla speranza che questi paesi seguano una "terza via" tra capitalismo e socialismo di stato. Presto il termine "Terzo Mondo" fu esteso alla totalità delle nazioni chiamate di recente "paesi in via di sviluppo", paesi con un debole sviluppo economico.
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Nel 1979 il ministro degli esteri Pierre Aubert traccia un bilancio degli ultimi dieci anni e degli eventi che hanno plasmato l’orientamento della cooperazione internazionale della Svizzera. Nel 1973 la crisi economica mondiale e lo shock petrolifero accendono nuovi dibattiti. Una nuova generazione di responsabili della politica di sviluppo mette in discussione l’utilità della precedente cooperazione allo sviluppo, individuando la ragione del sottosviluppo nelle azioni dei Paesi industrializzati. Gli attori svizzeri del settore privato sono coinvolti in grossi scandali, per esempio Nestlé a causa delle sue pratiche di vendita di alimenti artificiali per neonati nei Paesi in via di sviluppo, ma anche le banche, che ottengono profitti a danno dei più poveri. La cooperazione svizzera allo sviluppo continua a crescere e, dal 1976, opera su una base giuridica sostenuta dalla politica interna.

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Il Protocollo di Kyoto viene siglato nel 1997 in occasione della terza Conferenza delle Parti della Convenzione quadro sui cambiamenti climatici (COP3). Nel Protocollo gli Stati parte si impegnano a ridurre, tra il 2008 e il 2012, le loro emissioni dei sei principali gas a effetto serra – tra cui biossido di carbonio (CO2), metano (CH4) e clorofluorocarburi (CFC) – di almeno il 5% rispetto ai livelli del 1990.

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I partenariati con il settore privato sono importanti per un’attuazione efficace della cooperazione internazionale. Un esempio in tal senso è rappresentato dalla collaborazione della DSC con la fondazione Medicines for Malaria Venture (MMV), con sede a Ginevra. La combinazione del know-how medico di MMV e delle conoscenze specialistiche della DSC, iniziata nel 1999, ha consentito la messa a punto di un farmaco contro la malaria dal costo contenuto di cui sono state finora somministrate più di 250 milioni di dosi in oltre 50 Paesi.

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Kapitel 1 Vorgeschichte

I 60 anni della DSC

Preistoria

Kapitel 2 1960er Jahre

Anni '60

Kapitel 3 1970er Jahre

Anni '70

Kapitel 4 1980er Jahre

Anni '80

Kapitel 5 1990er Jahre

Anni '90

Kapitel 6 2000er Jahre

Anni 2000

Kapitel 7 2010er Jahre

Anni 2010

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